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Volete incontrare Julie e Terrence?

In attesa di trovare un titolo al romanzo di prossima uscita, posto qui sotto il primo incontro di Julie e Terrence. Perché è lunedì e tutti abbiamo bisogno di farci una risata. 😉

…Osservo velocemente il mio abbigliamento: jeans vecchi, ampio maglione fucsia con in bella vista la stampa della fata di Cenerentola, pantofole a forma di unicorno. Le pantofole sono un tocco di classe, me ne rendo conto. Ma anche la fata ha un suo perché.
Sopprimo l’istintiva benché inutile tentazione di mettermi addosso qualcosa di più serio, visto che non ho la minima intenzione di fermarmi a lungo. Giusto il tempo necessario a presentarmi, sorridere al mio nuovo vicino e supplicarlo di fare meno baccano. C’è da sperare che sia un gestore di hedge fund e che trascorra tutte le sue giornate e conseguenti nottate in ufficio. L’industria finanziaria produce davvero i migliori vicini che una donna come me potrebbe mai volere e di questo sono molto, molto grata. Un po’ meno della recente crisi finanziaria, ma immagino non si possa avere tutto nella vita. Sì, sì, quelli che lavorano in finanza saranno anche simpatici come la devitalizzazione di un dente e non avranno mai del sale da prestarti, ma sono disposta a mangiare insipido per il resto dei miei giorni, se questo vuol dire continuare con la stessa vita di sempre.
Mi faccio forza e affronto anch’io le scale, seguendo il flusso di persone che trasportano di tutto.
Letteralmente di tutto: i due uomini che mi precedono hanno le mani piene di chitarre, quello che mi segue un pezzo di batteria.
Che il padrone di casa sia un gestore di hedge fund che ama collezionare strumenti musicali?
Non sono assolutamente pronta a considerare l’alternativa.
La porta dell’attico è spalancata. Non sapendo bene come annunciarmi, seguo i traslocatori dentro l’appartamento. E lì mi fermo, perché dall’ingresso si accede subito a un’immensa sala, al momento piuttosto spoglia, con una miriade di vetrate. Il parquet è quello originale ma è stato evidentemente riverniciato perché brilla, creando l’effetto da sala da ballo. Una cosa è certa: un posto simile, con una tale metratura, sarà costato dei gran bei soldi…
Torno a sorridere, perché la storia della professione finanziaria torna a essere la più verosimile. Per la gioia di noi newyorkesi – veri o anche solo d’adozione come me – i ragazzini pieni di sé e ancora di più di quattrini, reduci da Silicon Valley e da qualche ridicola ipo a prezzi assolutamente ingiustificati, sono al momento tutti concentrati a far schizzare alle stelle il mercato immobiliare della costa Ovest. E sono gentilmente pregati di rimanerci a vita. Il real estate dalle nostre parti ha già i suoi problemi, anche senza la loro ingerenza.
«
I quadri in camera da letto. Le chitarre invece vanno di là», sento dire da una voce in fondo alla stanza.
Mi sporgo, curiosa mio malgrado, perché l’uomo che sta parlando ha un chiaro accento britannico. La mia è evidente deformazione professionale: non si possono scrivere libri su libri che hanno come protagonisti lord inglesi e poi rimanere indifferenti di fronte a un bell’accento. È un mio noto punto debole, motivo per cui ormai conosco telefilm quali Downton Abbey a memoria. E no, non è un’iperbole; niente figure retoriche nel mio caso. Ancora singhiozzo quando rivedo Matthew inginocchiarsi nelle neve, sebbene sia perfettamente cosciente che nella vita reale una scena simile avrebbe come unica conseguenza possibile una polmonite assicurata.
In tema di abbigliamento o costose scarpe da dislocazione automatica della caviglia, sono al riparo da qualsiasi tentazione (Jimmy Choo, chi???), come testimonia appunto il mio abbigliamento odierno. Ma quando si tratta di cibo calorico e o di uomini inglesi…
«Mi scusi…», provo a richiamare l’attenzione del mio nuovo vicino, avvicinandomi con un pizzico di timore. Non mi considero una persona timida, non nel vero senso della parola, ma non faccio nemmeno parte della categoria di quelli che interagiscono facilmente con gli sconosciuti. Mi tocca sempre sforzarmi per riuscire a essere naturale in certe occasioni. Il che è un controsenso, me ne rendo conto, perché uno dovrebbe essere naturale comunque, e non imporselo. Diciamo pure che per alcune persone la naturalezza è meno immediata che per altre.
«Mi scusi…», provo una seconda volta, sforzandomi di imprimere maggiore determinazione alla voce.
Il mio tono deve rivelarsi efficace, perché finalmente l’uomo si degna di girarsi nella mia direzione.
Uomo
… parola grossa. Al massimo un ragazzo, sui vent’anni. O almeno credo, visto com’è vestito: giubbotto di pelle, maglietta sbrindellata e un intricato labirinto di tatuaggi sulle sue mani. Sulla testa ha ben piantato un cappellino dei Mets mentre gli occhi sono coperti da un enorme paio di occhiali scurissimi. Per inciso, trovo che i Mets siano una pessima scelta. Io sono una fedele fan degli Yankees da quando mi sono trasferita in questa città.
«La donna delle pulizie?», ha la faccia tosta di domandarmi, dopo avermi osservato dalla testa ai piedi e aver sorriso, una volta arrivato alle mie pantofole.
La mia bocca si apre indignata: toccatemi tutto ma non gli unicorni. «No!», esclamo con particolari enfasi. Sto quasi per partire con l’ormai ben oliato discorso sulla libertà di vestirsi come si vuole – anche perché, inter nos, da che pulpito quel sorrisetto? – quando mi ricordo di non avere tempo da perdere con un ragazzino. Ho cose ben più importanti da fare, io. «Mi potresti dire dov’è tuo padre, cortesemente?». È evidente che il vero padrone di casa deve essersi nascosto da qualche altra parte.
«Chi?», mi chiede ridendo.
«Tuo padre. Il proprietario».
«
Io sono il proprietario», replica con un’espressione divertita.
Di bene in meglio. Il papà milionario ha regalato l’attico al figlio scemo…
Sbuffo. «Sì, be’,
signor proprietario, ti dispiacerebbe toglierti quegli occhiali da sole? Non te l’hanno insegnato che è da maleducati parlare con la gente in questo modo?». La giornata è piuttosto grigia e fuori pare esserci una seria minaccia di pioggia.
Lui inclina la testa, osservandomi curioso. Non ho la più pallida idea di cosa gli passi per la mente, visto che non posso vedere il suo sguardo, ma deve essere qualcosa di molto più complesso di quello che mi sarei mai aspettata, a giudicare dal tempo che si sta prendendo. Nemmeno fosse una decisione di vita o di morte…
Sono psicologicamente pronta a sentirmi mandare al diavolo, quando invece avviene l’insperato e si decide a fare come gli ho chiesto: solleva la mano e con calma – estrema ed esasperante lentezza che serve solo a rendermi ancora di più di cattivo umore – si sfila gli occhiali scuri. Due grandi occhi azzurri si incollano alla mia persona.
Trovo che si possa capire molto dallo sguardo. E questi sono occhi intelligenti. Guardinghi, come in attesa di chissà quale reazione esagerata da parte mia, ma comunque intelligenti.
Senza mai sbattere le palpebre, aggrotta le sopracciglia e mi scruta con una buffa smorfia di preoccupazione. E quando dico scruta, intendo che mi trapassa da parte a parte con espressione sfacciatamente intensa. Bellissima tonalità d’azzurro, a proposito. Non capisco davvero perché tenesse nascosti quegli occhi. Che abbia un’allergia o roba simile? Strane malattie vampiresche per cui non può esporsi alla luce?
Per qualche istante di troppo non succede niente.
Io osservo lui.
Lui osserva me.
Ho la strana e francamente inusuale sensazione che mi stia sfuggendo qualcosa…
«Niente?», mi chiede infine.
M
i sta decisamente sfuggendo qualcosa.
«Niente in che senso?», non mi rimane che domandare confusa.
A quel punto avviene l’impensabile perché, senza alcun preavviso, le sue labbra si sollevano fino a rivelare un sorriso sorprendentemente sincero e una dentatura assolutamente perfetta. I genitori di queste nuove generazioni non hanno davvero lesinato quando si trattava di investire nell’ortodonzia. Con mia grande sorpresa non si ferma agli occhiali: si toglie pure il cappellino, passandosi la mano tra i capelli per scompigliarli. Biondi e neri.
No, non sono impazzita, anche se ci sono giornate in cui arrivo a dubitare di me stessa. I suoi capelli sono davvero un mix di platino e nero corvino che nessuna persona al mondo oserebbe portare.
Nessuno a parte lui, a quanto pare.
«Ancora niente?», chiede di nuovo. Ma il suo umore è del tutto cambiato rispetto a qualche minuto fa e ora è visibilmente più divertito che preoccupato.
Io però continuo a non capire. In che senso
niente?
«Senti, io sono la vicina. Abito al piano di sotto. Lavoro da casa, per cui, se poteste fare un po’ più d’attenzione…». Non ho nemmeno finito la frase che il rumore di uno scatolone che viene scaraventato a terra fa sobbalzare entrambi.
«Questi traslocatori sono un mezzo disastro», ride divertito.
Francamente non so cosa abbia da ridacchiare: se quella scatola conteneva piatti o bicchieri, può dire addio al suo contenuto. Si fosse tratto dei
miei traslocatori, avrei di certo reagito in modo differente.
«Sì, me ne sono accorta…», borbotto.
«Ma sono discreti. La discrezione di questi tempi è un grande valore», commenta riflessivo.
«E io che pensavo che riuscire a infilare le scatole senza rompere tutto il loro contenuto fosse un requisito professionale per dei traslocatori…», commento sarcastica.
Lui alza le spalle, per nulla toccato. «I bicchieri si ricomprano».
«Meraviglioso. Felice che ci sia ancora qualcuno disposto a far girare l’economia americana. Questa amministrazione demenziale che si illude di poter creare
pil dal nulla te ne sarà grata. Comunque, tornando a noi, io qui sotto lavoro. Quindi, se poteste fare un po’ meno rumore…».
«Che genere di lavoro?», mi chiede all’improvviso, tornando con lo sguardo sulle mie pantofole. Forse avrei sul serio fatto meglio a cambiare scarpe prima di salire qui: il mio nuovo vicino non mi sta affatto prendendo sul serio.
«Scrivo, sono una scrittrice», gli rispondo cercando di darmi un tono. Concordo che gli unicorni, ora come ora, non stiano giocando a mio favore.
«Di fiabe per bambini?», chiede ironico. I suoi occhi si sono spostati sulla fata del mio maglione.
«No, per donne adulte. Scrivo romanzi d’amore storici».
«Ah…», commenta solo, tornando a sorridere.
Ah
un corno, per quel che mi riguarda.
«Qualcosa da ridire a proposito?», gli domando facendomi davvero belligerante per la prima volta da quando ho messo piede in casa sua. Anni di commenti idioti sulla mia professione hanno in parte inquinato il mio amore per il prossimo, temo.
Lui scuote la testa, trattenendo a fatica una risata. Di bene in meglio. «
Sei famosa? Ho già sentito parlare di te?»
«Non lo so, la fama è un concetto piuttosto relativo…».
«No, non lo è. Uno o è famoso oppure non lo è», ribatte come se l’argomento gli stesse molto a cuore.
Lo osservo senza capire. «Poco importa. Sono Julie Morgan». E gli porgo la mano, da perfetta vicina di casa quale sono. O almeno aspiro a essere, sempre che lui non si riveli il solito imbecille.
Lui guarda prima me, poi la mia mano, e infine i miei unicorni. Deve avere una passione segreta…

19 thoughts on “Volete incontrare Julie e Terrence?

    1. E io di farvelo leggere. Ma, proprio perchè volevo dedicare a questo romanzo il giusto tempo, mi sono presa qualche mesetto in più per arrivare alla sua correzione con una certa dose di entusiasmo. Visto che scrivo e correggo dopo giornate di lavoro assolutamente full, l’entusiasmo è fondamentale. 😉

      1. Spero tanto che Julie e Terrence riescano a mitigare la voglia spasmodica che ho di leggere di Norman e Alex. Ho appena finito di rileggere Aiden e Laurel, e l’agente e la sorellina esercitano un fascino enorme su di me!!!

          1. Haha, e ho anche altre foto. Ma vedo non sparare subito tutte le cartucce. 😉
            Il 4 gennaio è vicino ma non vicinissimo.

  1. Ok già lo adoro!! E poi Julie praticamente sono io: gli unicorni sono la mia passione e ho di tutto con loro, pantofole comprese! 🙂

  2. non vedo l’ora di leggere tutta la storia. Anna, sarò ripetitiva, ma devo dirtelo, io adoro come scrivi! una marca, una garanzia!!

  3. Ciao Anna,
    la giornata fin qui è stata un po’ pesante, ma per fortuna sei arrivata tu con Julie e Terrence!
    Buon lavoro,
    Manu

  4. Che spettacolo!! Già mi piace! Aspetto con ansia il resto! Comunque anche io attendevo con ansia alex e norman, ma ammetto che anche julie e terrence mi stanno ispirando un sacco! Insomma non vedo l’ora di leggere i tuoi lavori! Grazie del tuo lavoro, una tua fan

    1. Ps per il titolo: “un amore inatteso”? Oppure “speranze cambiate”.. Oppure “una scomoda novità”? Oppure “vicini ossimorici” mm so di non essere particolarmente efficace, ma vedi un po se magari qualcosa ti ispira:)

    2. Il libro di Alex e Norman è un più serio come mood generale e io invece avevo bisogno di una ventata di leggerezza. Ecco perché ho dato la precedenza a Julie. Cmq, Norman compare in qualche scena di questo libro. 😉

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