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Baci d’estate – scena bonus – Sveva e Federico

Non mi era ancora chiaro come avesse fatto a strapparmi un “sì”. Perché, come mia madre potrà testimoniare, io sono la regina del “no”.
Sempre.
Anche quando non sento bene la domanda.
Il mio istinto mi porta sempre a essere prudente e dire no. Al massimo poi ho il tempo di cambiare idea. Ma la partenza è guardinga, per carattere e per vissuto.
Ho detto un sì senza riflettere granché una sola volta in vita mia, quando Claudio mi ha chiesto di sposarlo, e quel sì buttato lì un po’ a caso mi stava facendo vivere nel terrore di rifare lo stesso errore. Ma, come ama ripetermi Chiara, dalla bicicletta si cade e ci si rialza. Non per altro, perché sei a metà strada e in un modo o nell’altro devi pur arrivare alla meta. Filosofia metropolitana spicciola – indubbiamente – ma molto efficace.
«Allora, dove si va?», domandai a Federico, che mi stava aprendo la portiera della macchina con fare galante. Stava un po’ esagerando, a dirla tutta: non ero abituata a essere trattata in quel modo. Già l’essere al centro della totale attenzione di un uomo mi metteva in imbarazzo.
«Torniamo a Krk per cena. Pensavo di scegliere uno di quei ristoranti carini lungo il mare in centro», mi spiegò sorridendomi. Mi ero resa conto molto presto che era uno che sorrideva spesso. Sospettavo che fosse in parte per indole e in parte perché in quel modo annullava qualsiasi capacità di lamentela di chi aveva di fronte.
Avevamo già messo piede a Krk la mattina, quando ci eravamo recati tutti nella capitale dell’isola per comprare una tenda nuova in sostituzione di quella che aveva osato volare via a causa dalla forte bora, ma a parte i centri commerciali non avevo visto molto altro.
Federico mi aveva strappato un appuntamento tra un modello di canadese e un altro, giocando sul fatto che gli fossi ovviamente molto grata in primis per averci salvate da naufragio certo, e poi da notte insonne sotto la pioggia. Aveva un grande vantaggio competitivo quando mi ha chiesto di uscire.
Ho detto di sì non solo per gratitudine, ma perché stavo diventando stufa di me stessa e di quello che Claudio mi aveva fatto diventare negli anni. Motivo per cui, se un bellissimo ragazzo mi chiedeva di portarmi a cena fuori, da quel momento in poi avrei detto di sì.
E Federico rientrava appieno nella categoria: indossava un paio bianco di pantaloni con tasche fino al ginocchio e una polo azzurra che faceva risaltare in maniera quasi incredibile la sua abbronzatura e il suo bel colore degli occhi. Negli anni gli uomini hanno imparato a giocare a loro favore con gli accostamenti e i colori, se c’era da giudicare dall’esemplare che mi era seduto in macchina.
«Perché Krk?», gli chiesi per fare conversazione, nella speranza di placare almeno in parte il nervosismo con cui stavo convivendo da parecchie ore. Si trattava del mio primo appuntamento dopo circa un decennio e mi sentivo totalmente fuori dalla mia comfort zone.
«È bellissima, vedrai. Ha un centro storico che è un gioiello, con viuzze tutte strette e piazzette da cartolina. Propongo di mangiare appena arrivati per evitare la ressa e poi ci facciamo un bel giro per vedere il castello, la cattedrale e le mura della città».
Federico parcheggiò a qualche minuto dal porto cittadino, che raggiungemmo con una piacevole camminata lungomare. Se pensavo che Baška fosse piena di turisti, non avevo ancora visto Krk: il quantitativo di persone presenti mi ricordava molto piazza Duomo nell’ora di punta.
«Però, quanta gente…», commentai sorpresa.
«Si tratta dell’isola più facilmente raggiungibile, visto che è collegata con un ponte. I turisti la amano perché è comoda e ha tante località interessanti da visitare. Immagino sia uno dei motivi che vi ha portato qui», cercò di farmi parlare. Era un modo delicato per chiedere informazioni. E infatti apprezzai a tal punto il suo tatto che decisi di tagliare la testa al toro. Tanto valeva che sapesse come stavano le cose.
«A dire la verità non sono molto informata sul perché della scelta di Chiara e Silvia. Io ho subìto invece che partecipare. E non ne vado fiera. Ma ecco… credo che qualcosa possa anche esserti giunto all’orecchio… vedi, le mie amiche mi hanno organizzato questo viaggio perché due mesi fa sono stata piantata dal mio fidanzato. Il matrimonio avrebbe dovuto celebrarsi dieci giorni fa, alla fine di luglio. E a quest’ora mi sarei dovuta trovare in viaggio di nozze».
Mi resi conto che ogni volta che trovavo la forza di ammetterlo a qualcuno, il dolore per l’abbandono calava di un gradino. Non avevo idea della discesa che mi stava aspettando, ma iniziare a scendere era pur sempre un primo passo.
Gli occhi di Federico si spalancarono per la sorpresa. «Wow…», disse solo, un po’ a corto di parole.
«Davvero non ce l’avevo con te quando ci siamo conosciuti. O meglio, non con te in quanto tale ma in quanto appartenente alla razza maschile. Parto prevenuta, che vuoi farci», tentai di spiegargli in qualche modo perché ero stata tanto sgarbata all’inizio.
«Ora che lo so, mi pare quasi un miracolo essere riuscito a strapparti questo appuntamento! Era un grande amore?», mi chiese abbassando la voce, dopo un attimo di esitazione.
Non sapevo nemmeno io la risposta a una tale domanda. Me la facevano in pochissimi. Quelli davvero temerari. Mi resi conto che invece era la domanda giusta da fare. Al di là dell’umiliazione subita, la ferita era sul serio aperta o no?
«All’inizio lo è stato. Ma quando si sta insieme per tanti anni, spesso si finisce per crescere guardando a cose diverse. E si arriva a stare insieme più che altro per abitudine», ammisi e mi fermai un attimo per guardarlo meglio negli occhi. Vi lessi piena comprensione.
«Lo capisco, meglio di quanto tu creda. Sono stato insieme alla stessa ragazza per quasi tutti gli anni delle superiori e alla fine il rapporto si è semplicemente spento. Mi pareva una gabbia».
Chissà se anche Claudio e io ci siamo sentiti così senza quasi rendercene conto.
«Invece un rapporto che funziona dovrebbe essere altro, portarti a essere una persona migliore, no?»
«Più che altro, io credo che non dovrebbe impedirti di essere te stesso. E dovrebbe renderti felice, cosa che potrebbe sembrare banale ma spesso è difficile da ottenere», commentò lui.
«Più si cresce e più la felicità sembra una chimera», gli dissi sospirando.
Federico decise di riportare la conversazione a temi meno cupi e mi fece un bellissimo sorriso. «Non so te, ma io in questo momento sono molto felice».
Risi mio malgrado. «Sei sempre il solito. Un vero latin lover, eh?», lo canzonai.
«Sono charmant, come dice mia madre. Ma non seduco per gioco o peggio. Anzi, a dire il vero nemmeno seduco. Io mi presento per quello che sono. Possono piacere o non piacere».
«Almeno sei sincero». Ed era già molto più di quello a cui ero abituata.
«Lo sono sempre. È insieme un pregio e un difetto».
Poi mi prese per mano e mi trascinò in direzione di un ristorante sul lungomare, con vista sul porto. Dopo che ci fecero accomodare, iniziò la difficile scelta di cosa ordinare.
«Senti Sveva, cosa ne dici di vivere pericolosamente ed evitare di fare come tutti gli italiani in vacanza?», mi propose con una luce divertita negli occhi.
«Ovvero?», gli chiesi quasi allarmata.
«Ti prego, non ordiniamo pizza o spaghetti. Osiamo per una volta. Proviamo le specialità locali».
La cosa aveva senso. Mi sentivo in vena di decisioni forti. «Certo. Mi fido di te nella scelta. Io non capisco niente di specialità locali».
Lui si mise a studiare il menù con grande concentrazione. «Allora, io prendo i ćevapčići e tu la pljeskavica. E poi dividiamo».
«Farò finta di aver capito cosa hai detto», gli confessai la mia totale ignoranza in materia.
«I ćevapčići sono delle polpettine allungate fatte di carne trita. E piene di spezie varie. Con quelle ci vanno giù pesante… La pljeskavica è sempre a base di carne trita, ma in genere è adatta a un palato un pizzico più gentile. Qui la fanno con il formaggio fuso dentro».
Solo a sentire la descrizione, avevo già la colina in bocca. «Oh cielo, la voglio adesso…», sospirai con una voce un po’ roca. Il buon cibo mi fa sempre grande effetto.
Federico deglutì sonoramente e mi fissò la bocca. «Sempre per effetto della mia sincerità a tutti i costi, ti devo confessare che mi hai appena fatto pensare ad altre cose che non riguardano affatto il cibo».
L’intervento del cameriere, che prese le nostre ordinazioni, mi salvò dal dover rispondere in maniera intelligente alla sua frase. La verità era che anch’io ero attratta da Federico. Anche un po’ troppo, affinché la nostra serata potesse finire in un flirt estivo senza grande importanza. Mi piaceva l’estetica – non ero mica capace di mentire a me stessa – ma ero attratta anche dalla persona che c’era dietro. Federico era galante, gentile, ironico. Aveva un bel modo di trattare le persone che io, ancora in modalità bisbetica piantata sull’altare, gli invidiavo molto. Quello e anche i ricci scompigliati.
D’altronde, non ero mai stata capace di vivermi il momento e basta. Se così fosse stato, non avrei buttato dieci anni in una storia che poi si era dissolta nel nulla. Potevo iniziare a trent’anni?
«Invece di parlare di me e delle mie tristi vicende, raccontami meglio di te. Di dove sei, cosa fai…», gli dissi dopo che ci venne messo davanti un grosso boccale di birra.
Mi piaceva che tra di noi il clima fosse rilassato. Nessuno cercava di impressionare nessuno ed eravamo invece concentrati a goderci la reciproca compagnia.
Lui mandò giù un sorso generoso prima di rispondermi. «Di Milano, come te. E prima che tu lo chieda, sì, mi sono informato con le tue amiche».
«Lo sospettavo dalla mancanza di accento».
«Tutti quelli che non sono di Milano dicono invece che ce l’abbiamo eccome. Il nostro accento. Ma che non ce ne rendiamo conto», mi informò ridendo.
«Solo perché abbiamo la “e” aperta? E cosa vuoi che sia…», risi a mia volta. Io, poi, ero la regina delle “e” aperte.
Il cameriere tornò di nuovo con le nostre ordinazioni, e la nostra tavolata fu invasa da un mare di odori. Il mix di spezie doveva essere potente. La carne aveva un aspetto divino.
Fu più forte di me. Tagliai subito un grosso boccone della mia carne e la mandai giù con piccoli mugolii di estasi. Che Claudio odiava, ma non era lì a potermi richiamare. E in tutta onestà, non mi pareva che Federico avesse gli stessi problemi. Era divertito. E pure colpito.
«Altro momento di sincerità: trovo molto sexy le donne che amano mangiare», mi confessò senza staccarmi gli occhi di dosso.
«Da questa sera io trovo sexy gli uomini che amano guardarmi mangiare. Per cui siamo pari», risi. Sì, stavo flirtando e sì, mi ricordavo ancora come si faceva. Era davvero una serata miracolosa.
Federico abbassò lo sguardo sulla mia bocca. «Dovrò smetterla di essere sincero o tu finirai per fuggire prima che la cena sia finita».
In altri momenti della mia vita gli avrei dato ragione, ma quella sera ero pronta a vivere pericolosamente. Mi stavo divertendo. Lui mi divertiva. E nell’ultimo periodo mi era successo così di rado che non avevo davvero voglia di rinunciarci.
«E perché mai Federico. Prima di questo disastro epocale del matrimonio mancato, ero nota per essere una donna di spirito».
Lui mi fece l’occhiolino. «Oh, lo sei ancora…».

E infatti lo ero, come ebbi modo di scoprire durante la nostra memorabile cena. Non ricordavo di aver mai riso tanto a un appuntamento. Federico aveva un perverso senso dell’umorismo, nascosto sotto quel suo volto da bravo ragazzo, che si sposava molto bene con il mio sarcasmo innato. Ed era intelligente, mio vero punto debole in un uomo.
Sì, c’è chi impazzisce per dei pettorali di tutto rispetto e chi invece adora una mente veloce. Io facevo parte delle seconda categoria. Era quello che mi stava facendo girare la testa mentre passeggiavamo lungo le strette stradine di Krk dopo la nostra cena.
Ci sedemmo su una panchina parzialmente nascosta dai rami di un albergo accanto alle mura della città, che permetteva una magnifica vista su un piccolo golfo posto subito sotto la parte arroccata di Krk.
«Allora, è un buon primo appuntamento?», mi chiese Federico con voce soddisfatta.
Lo sapeva anche senza mie conferme che questo era il re dei primi appuntamenti.
«Mah, non so, sto ancora valutando», lo presi in giro.
«Ma se non hai smesso di ridere da tre ore a questa parte!», mi fece notare.
«E cosa ne sai, magari non rido solo perché sei simpatico. Magari sto ridendo di te…».
Lui fece un gesto di dismissione con la mano. «Impossibile. Io sono simpatico», affermò convinto.
«E modesto», lo punzecchiai.
«Chiaro, anche quello», convenne lui velocemente.
«E in ogni caso dovrò sospendere il giudizio prima della tua mossa conclusiva».
«Ah, stai aspettando il bacio!», rise divertito.
Oddio, per essere precisi stavo morendo dalla voglia di baciarlo. Ma non volevo spaventarlo saltandogli addosso. O supplicandolo. Ma ero a tanto così dal farlo sul serio.
«E chi ha mai parlato di baci?», cercai di fingere.
«Haha, non mi freghi. Tu, cara la mia fanciulla, stai aspettando quello per emettere la tua sentenza. Buon per te che io sia un grande baciatore».
«Un modesto baciatore, soprattutto», risi di nuovo.
«Chiaro, anche quello», ripeté come aveva già fatto pochi attimi prima.
«Allora, sto aspettando», gli disse voltandomi nella sua direzione.
«Così a comando?»
«Cosa c’è? Lavori male sotto stress, uomo modesto?»
«Per tua fortuna, no…», mi sorrise prendendomi la mano sinistra e iniziando a giocare con le mia dita. Ci fu una scossa, o forse addirittura un lampo, nel momento del contatto. Dovevo darsi una mossa. Ormai ero disperata.
«Ma devo lavorare un po’ sull’atmosfera…».
E chissà quale altra sciocchezza avrebbe detto, se io non mi fosse decisa a colmare quella distanza che ci separava e ad appoggiare le mie labbra sulle sue. Speravo che il messaggio gli arrivasse, timidone che non era altro. Chi l’avrebbe mai detto…
Per fortuna la missiva arrivò a destinazione in un lampo. Lui mi avvicinò il viso con le mani e iniziò a baciarmi con molto trasporto.
Per la cronaca, aveva ragione lui. Era stato davvero modesto nel descrivere le sue doti: non baciava bene, bensì in una maniera sensazionale.
Andammo avanti per ore, finché l’ossigeno della città non fu del tutto esaurito. Quasi non mi sentivo più le labbra.
«Allora, questo primo appuntamento?», chiese di nuovo lui con un ghigno soddisfatto. Bastardo.
«Non so, devo ancora provare…», mentii e ripresi a baciarlo.
Lui rise e tornò a concentrarsi su di me. «Crudele», borbottò tra un bacio e l’altro.
«Io? Sempre», sospirai mettendomi a cavalcioni sopra di lui.
«Senti, prima che la cosa ci sfugga di mano, vorrei chiederti cosa fai domani sera».
«Ti porto fuori», affermai certa.
Lui mi baciò sul collo. «Ho sempre adorate le donne con un ottimo piano…».
In quel momento mi adoravo persino io per aver avuto il coraggio di fare questo passo. Forse Chiara aveva ragione: tutto sommato la storia della bicicletta non era poi così azzardata.

5 thoughts on “Baci d’estate – scena bonus – Sveva e Federico

  1. Grazie Anna! Bellissimo racconto del primo appuntamento! Così però la curiosità aumenta per cui, se deciderai di dare un seguito al racconto, sarò tra le prime a leggerti

  2. wow un primo appuntamento fantastico!!! vorrei tanto che continuasse perciò se pubblicherai qualcos’altro sarò subito incollata allo schermo per leggerlo!!!sei bravissima mi sorprendi sempre 🙂

    1. Ciao Sabrina,
      sono le pagine conclusive della novella “From Baska with love”. Il nuovo rimanzo invece viene via con me durante le vacanze con tutti gli appunti della mia santa editor, in modo che per ottobre sia tutto pronto.
      Buona serata,
      Anna

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